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LO STUDIO DEL RANDORI

il Randori (in giapponese 乱取り) indica l’esercizio libero nelle arti marziali, contrapposto allo studio delle tecniche strutturate dei kata. Può quindi essere visto come la messa in pratica di queste ultime. Il concetto di Randori fu introdotto dal fondatore del Judo.

Letteralmente significa “combattimento libero” oppure “esercizio libero”;

Nel Randori i contendenti Tori Uke nel rispetto delle regole del Judo, combattono attraverso le tecniche di spazzate, proiezioni, immobilizzazioni e leve cercando di prevalere sull’avversario.

Questa pratica, introdotta nel Judo è il carattere distintivo di questa arte marziale che permette di praticare le tecniche, in una simulazione di un combattimento reale, con la massima efficacia senza ferire il compagno o dover frenare il colpo.

I praticanti, dopo un inchino che rappresenta la consapevolezza dell’inizio dell’incontro, lottano tra loro come in uno scontro reale utilizzando tecniche di proiezione (nage-waza), e solo dopo essere riusciti a far cadere l’avversario, di immobilizzazione al suolo (osae-komi-waza), strangolamenti (shime-waza) e leve articolari (kansetsu-waza), non sono comunque permesse le atemi-waza ed altre tecniche adatte solo a situazioni di reale pericolo.

Nel Judo tradizionale Il Randori deve essere praticato in conformità al principio del miglior impiego delle energie, l’esatta misura di forza velocità e precisione, ed è fondamentale per consentire il perfezionamento delle tecniche precedentemente studiate e per migliorare il proprio spostamento e postura. Inoltre permette il miglioramento del controllo sulla mente e sul corpo, preparando così il judoka a qualunque tipo di situazione di emergenza o attacco, che esso sia impulsivo o premeditato.

Jigoro Kano non solo comprese che un’arte marziale per essere appresa necessita di essere praticata in coppia in modo libero, ma rimosse le tecniche ritenute più pericolose (del jujutsu)  per mantenere l’incolumità degli allievi a favore dello sviluppo delle tecniche meno pericolose che costituiscono il judo.

Il Randori, è bene precisare, è in pratica il “libero studio” del Judo, l’esecuzione pratica di tutte le tecnica fino a quel momento apprese e studiate.

Praticando il Randori con il compagno, si migliora la propria conoscenza del Judo.

Durante questo particolare esercizio, bisogna mettere in pratica tutto quello precedentemente appreso, ma con grande elasticità e con il corpo e lo spirito molto rilassati.

Questo tipo di esercizio non è competizione, non bisogna lottare come se vi trovaste in una competizione vera e propria, perché perderebbe il vero significato che invece ha.

È studio!

Non esiste in questo tipo di esercizio uno che vince e uno che perde, ma solo due Judokas che vogliono studiare in modo sciolto le loro tecniche e aiutarsi reciprocamente.

LO STUDIO DEL RANDORI

Possiamo dividerlo in due fasi:

  • tecnica in piedi
  • tecnica al suolo

In genere, a discrezione degli atleti, il Randori inizia in piedi, e il Judoka che cade per primo, che sia soggetto a proiezione o per perdita di equilibrio, dovrà evitare di cadere fra le gambe dell’avversario.

Se succedesse, dovrebbe aprirgliele afferrando il pantalone del kekogi del compagno contro il quale sta lottando e mettere in pratica le tecniche di sua conoscenza per riottenere una posizione vantaggiosa.

Cadere, non significa tuttavia che il Judoka che sta in piedi sia quello che ha la situazione in pugno, infatti, se non farà attenzione, può cadere fra le gambe del suo avversario o essere rovesciato per non aver controllato bene le gambe di chi sta a terra.

IL RANDORI SPESSO MALE INTERPRETATO

Spesso, troppo spesso, il Randori viene eseguito male, in quanto molti pensano di essere in gara e “spingono”in modo eccessivo utilizzando più la forza della tecnica, e questo sarebbe sbagliatissimo e controproducente.

Altri invece pensano si tratti di una specie di “balletto”, dove ci si alterna nell’esecuzione delle più svariate tecniche.

Niente di tutto questo!

Per apprenderne il vero significato ed eseguire in modo corretto questa pratica è necessario possedere prima di tutto queste componenti:

  • un buon controllo di se stessi,
  • un buon controllo del nostro compagno di allenamento
  • un sufficiente grado di rilassamento
  • elasticità e abilità nell’effettuare le tecniche
  • memorizzare gli errori per poi correggerli
  • provare il numero maggiore di tecniche apprese

È bene inoltre cominciare le prime volte semplicemente arrivando a sollevare l’avversario, senza arrivare alla proiezione completa, questo per gli inesperti, oppure come riscaldamento.

Questo ci permette di eseguire una tecnica con sufficiente velocità ed efficacia senza rischiare di far male al nostro compagno, nel caso non fossimo degli esperti Judoka, poi in seguito potremmo finire la proiezione, sicuri della nostra azione.

Per migliorare la tecnica, spesso ci si toglie la giacca del Judogi, aumentando così la difficoltà nelle proiezioni, ma questo ci obbligherà ad usare di più “la testa” e l’ingegno che la forza.

In questo modo, riuscirete a trovare il punto di massimo sbilanciamento del vostro compagno, quindi il momento più efficace per effettuare il vostro attacco.

Un ringraziamento al Maestro Francesco Cubello, sempre fonte di sapere e ispirazione.